Festival di Sanremo 2013: Cristicchi e il suo ironico memento mori

Anche Pericolo di Cultura ha qualcosa da dire sul tanto chiacchierato (e criticato) Festival di Sanremo 2013. Mi sono concessa del tempo per assimilare e scegliere gli argomenti – a mio avviso – migliori da commentare perché, si sa, Sanremo è un pilastro della cultura italiana e questo blog proprio di cultura si alimenta.

Per me la sorpresa più grande di tutto il Festival è Simone Cristicchi e la sua “La prima volta (che sono morto) ”, preferita alla seconda canzone in gara “Mi manchi”. Una storia che mi ha lasciato di stucco per il modo delicato e ironico con cui tratta un argomento tanto scomodo – il più macabro in assoluto – riuscendo perfettamente a dare un messaggio di gioia: perché, proprio con l’idea della morte, ti costringe ad apprezzare la vita.

Nel titolo il primo paradosso: un uomo si accorge di essere morto e, con un’avvincente prima persona, racconta il suo personale post mortem. Il trapasso, senza fronzoli, è presentato come un fatto naturale (quale, in effetti, è) che, ahimè, non si ferma neanche di fronte ai più accaniti salutisti (“e chi fumava? Ero pure astemio”). Eppure riesci addirittura a riderci su (con un tocco di amarezza) quando pensi allo strapazzo del corpo spogliato del pigiama e rivestito elegantemente (“con il completo del matrimonio”), e siamo solo all’inizio della frenetica organizzazione di un funerale.

La storia tragicomica dell’ incredulo uomo – morto – anziché suggerire una sorta di rassegnazione, invita ad anticipare “il corso serale del sonno eterno” e a cercare di sfruttare “ogni singolo momento” della propria vita, senza rimandare a domani, rinnovando il famoso Carpe Diem oraziano. Perché la frase che troppe volte ripetiamo, o sentiamo pronunciare, “e vabbè sarà per la prossima volta”, richiama il famoso poi che equivale al mai.

La canzone suggerisce una semplice ribellione al destino che parte dagli affetti (“quante cose avrei voluto fare che non ho fatto: parlare di più con mio figlio, girare il mondo con mia moglie”) e punta ai sogni (“lasciare quel posto alla Regione e vivere finalmente su un’isola”), questi i rimpianti della vita passata, queste le vere ragioni d’esistere, spesso trascurati quando si è vivi.

Retorica spicciola? Forse per alcuni ma, secondo me, nessun inno alla vita rimane sterile se riesce a farti emozionare e riflettere così com’è successo a me con questa canzone. In fondo, il cantautorato è questo: perdona la semplicità della musica, concede voci non eccezionali in favore di messaggi importanti, di temi forti. E Simone Cristicchi, me ne sarei dovuta accorgere già con “Ti regalerò una rosa”, rientra pienamente nel panorama del cantautorato italiano, specie protetta in via d’estinzione e  il nuovo Album di famiglia ne è la dimostrazione.

Cristicchi ha un tocco originale, la sua sensibilità passa attraverso quel viso arruffato di bimbo gentile, cui perdoni il continuo oscillare tra la malinconia e la gioia, perché il risultato è un’ironia amara sì, ma positiva. Il tocco swing della canzone non guasta, rievoca atmosfere degli anni ’50 che donano del romanticismo che ben s’intona con il messaggio.

Esempio evidente è proprio questa versione fantasiosa della morte, un’alternativa al Paradiso niente male: trovo molta poetica la possibilità di passeggiare con personaggi illustri come Chaplin, giocare a carte con Pertini e che Pasolini possa continuare a creare(quando è morto aveva ancora molto da dare e dire). Rincontrare il nonno (un tempo partigiano) ti ricorda che il mondo –forse- è sempre uguale, ma ti spinge a credere di poterlo ancora cambiare. Non possiamo più farlo lottando fra i monti come un tempo, ma possiamo cominciare dalle piccole cose, quelle vere, come l’esaltazione della vita. Vi sembra poco?

 

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